Genoa – Juventus 2-0: volere o volare

I Rolling Stones. “You can’t always get what you want”, non puoi mica sempre prenderti quello che vuoi, Mick Jagger lo urlava forte al Circo Massimo cinque anni fa, io c’ero, in mezzo a non so quante persone. Senza saperlo, facevo mia quella frase: la applico in tutti i campi della vita, o almeno, quelli in cui riesco ad applicarla.

L’amore e il calcio non rientrano tra questi.

Torniamo da Madrid accolti dalla fanfara dei giornali e degli avversari, dai mugugni di chi aveva comprato la maglietta di Griezmann, e ormai si appresta a comprare quella di De Ligt, che se non fosse per loro quanti soldi in meno farebbero registrare gli sponsor tecnici. Arriviamo a Genova senza il Re, viva il Re, che si è fatto comandante, generale delle terre madrilene e nuovo santino sui parabrezza di svariate auto, e per questo turno di mezzogiorno resta in caserma, quella vista Mole. Il Genoa ci ha già fatto male, una puntura allo Juventus Stadium, un pareggio che sembra essere avvenuto decenni fa, quando ancora non esisteva quell’abisso in classifica tra noi e chi ci guarda le spalle da molto lontano. Mandzukic e Capitan Dybala davanti, che lasciatemelo dire: Paulo con il 10 e la fascia da capitano è per qualunque juventino l’apoteosi della perfezione. L’allegra scampagnata ligure è chiara fin dai primi minuti: vorrei tanto sapere dov’è Mandzukic, Emre Can è spaesato, il toro di martedì scorso è poco più di un agnellino. Non basta il primo brivido di Kouame, Perin si ritrova dopo un quarto d’ora a volare per evitare che Sanabria possa ferire la porta della Juve. Prima pezza, ma non basta. Il Genoa fa la partita, e sente l’odore dell’ingiustizia quando gli viene tolto dal Var il rigore già assegnato dal signor Di Bello per un tocco di mano di Cancelo, che avviene però solo dopo che il pallone abbia preso Kouamè. Ad un certo punto ci credi: stanchi, svogliati, senza idee, ma Dybala su assist sottoporta di Cancelo la butta dentro, e pensi di poterla sfangare anche stavolta, ma non avevi fatto i conti con Emre Can che oggi non gliene va bene una, ed è in fuorigioco sull’avvio dell’azione. Si passa ai primi cambi: Bernardeschi per Cancelo, Pandev per Sanabria. Ma soprattutto, Sturaro per Lazovic.

Quando dico che il calcio e l’amore hanno le stesse regole, non scherzo. Stefanone la piazza dopo due minuti. Come nella migliore delle tradizioni, l’ex è uno stronzo. Anche se in realtà gli vuoi ancora un po’ bene. Rugani si perde Pandev, ed ecco servito il due a zero.

Non è un vero e proprio dolore, è più un fastidio. È la prima sconfitta in un campionato dei record, cadi dal sesto piano, ma sotto hai un cuscino di quindici, anzi sedici punti. Te la caverai con un collare al massimo, ma fosse successo lo scorso anno, allora sì che ci sarebbe stato bisogno di tutto il cast di Grey’s Anatomy. E la vita, l’amore, sono esattamente la stessa cosa: o cadi dopo tempo, e quasi non ci fai caso, o prendi una botta così forte da toglierti il fiato. E allora, siccome siamo fortunati, guardiamoci negli occhi stasera, e diciamoci quanto di buono abbiamo creato. Prendiamoci la pausa nazionale per respirare, e rivediamoci tra un po’, certi che la pressione non possa diventare oppressione, che quello che abbiamo ottenuto non ce lo leva nessuno e lo abbiamo creato insieme, e che i Rolling Stones hanno torto: puoi prenderti esattamente quello che vuoi, se lo vuoi abbastanza, e se a volerlo siamo in undici, o nell’altro caso, in due.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Giovanna Di Caprio ha detto:

    Spettacolo

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